Antikam

work in progress di Greta Francolini

Due performer danzano su una playlist di canzoni dance e rock. La danza dei due corpi avviene sul posto, l’uno di fianco all’altro, sul proscenio. La musica si appiccica sui corpi come quando al supermercato si fa meccanicamente la spesa sentendo, senza ascoltare veramente, le canzoni in filodiffusione.

La danza si presenta in movenze effimere e frivole ripetute in uno stato di esposizione passiva del corpo che si offre allo sguardo dello spettatore in maniera distaccata e disinteressata.

In un’intervista, Rocco Siffredi racconta che Moana Pozzi sul set era distaccata e assente durante l’atto sessuale, non sembrava che il sesso le piacesse, ma sottolineava comunque la sua disponibilità ed apertura nel lavoro. Lei si offriva, in questo distacco.

Che sia vero o meno, questa informazione mi ha affascinata e interessata come dato comparativo rispetto allo stato di presenza dei performer nel lavoro. Il corpo della danza diviene il corpo di Moana. È la stessa modalità di concessione.

La danza accade imperterrita, mentre attorno succedono le cose: un sipario si chiude lentamente addosso alle due figure. La danza, costretta, ai limiti del palco, tra i due tendaggi del sipario, continua, mentre alcuni oggetti portati da un nastro trasportatore che si affaccia da sotto il sipario verso il pubblico, cominciano ad accumularsi al di là del proscenio.

Immagino il palco come il nastro sul quale vengono trasportati i rifiuti per essere gettati nel macchinario dove vengono compressi.

Si ripropone a me il tema del nastro trasportatore e della catena di produzione che già era apparso in ‘Annunciazione’, un mio precedente lavoro del 2018, dove su di uno schermo televisivo veniva trasmesso un video che mostrava il processo di produzione dei würstel.

Il palco rigetta un accumulo di materia e materiali, fra i quali la danza che rimane una cosa tra le cose. Credo che il tema della iperproduzione mi affascini in quanto modalità vicina all’esistenza contemporanea, ma non solo. Credo anche che pensare lo spettacolo come un cumulo di scorie e, tra queste, collocare anche la danza, mi semplifichi l’operazione di visualizzare una coreografia (un materiale ornamentale, che si occupa della superficie e in essa risiede) e di collocarla su un palco.

Perciò voglio assecondare in questo lavoro la fascinazione che nutro per un corpo che è prima di tutto un prodotto, niente di diverso da quello che accade ogni giorno sulle varie piattaforme social ben note, e da qui partire per organizzare una coreografia.