In questi momenti in cui i miei spostamenti si fanno più cauti e misurati, inevitabilmente mi fermo ad osservare e riflettere. Dopo tutto, questo è il mio lavoro. Il mio lavoro, per chi facesse ancora confusione, non è danzare o coreografare, ma è guardare, cogliere ed accogliere e quindi quanto lavoro c’è da fare colleghi, amici ed appassionati.
Dagli guardi sospettosi a quelli fraterni e solidali, tutto ci racconta di noi, figli di questo pianeta. Dai balconi e dalle strade semi vuote, possiamo osservare quest’umanità, che spesso si dà per scontato.
Questo è il momento in cui cogliere l’ebbrezza del tempo sospeso che si trasforma in poesia, che ci racconta di noi, in una danza che si fa sospesa.
Questo presente crea una cesura tra passato e futuro, che nessuno può ignorare. Inclini a considerarci padroni del mondo, ci riscopriamo fragili, uniti e tutti più simili l’uno all’altro. Più di quanto potessimo immaginare.
Ora si tratta solo di trattenere il respiro e fermarci, una sospensione che anticipa un variazione improvvisa, per poter trovare la concentrazione, lo slancio per il domani. Dopo tutto, tutti sappiamo come sono importanti la variazioni di ritmo. Ritorneremo a danzare nei teatri, nelle case nei locali alla fermata del autobus al supermercato a lavoro, negli ospedali e nei palazzi ovunque comunque, tutti assieme a ritmo di musica le mani strette, viso contro viso e senza il sorriso nascosto da una mascherina.
Davide Valrosso